Inter-Juve, derby d’Italia con vista tricolore

Ruota a ruota. Inter in pole, Juve in scia. Arrivati a metà corsa, sono Inzaghi e Allegri a guidare il campionato. Difficile, ora come ora, ipotizzare l’entrata di un terzo incomodo nella contesa tricolore: la duttilità dei neroazzurri e il cinismo dei bianconeri hanno pian piano definito il gap con le inseguitrici.

Domani sera, a San Siro, andrà in scena il tanto atteso scontro diretto tra le due eterne rivali. Sale l’attesa: è uno snodo-scudetto fondamentale, cruciale. Chi vince manda un segnale fortissimo ad un campionato ora più che mai incerto.

Questa Inter suona il gol

Miglior attacco (50 gol fatti), miglior difesa (10 reti subite) e primo posto in solitaria, con un punto in più e una partita in meno sui rivali. Comanda l’Inter di Inzaghi, che dopo tre anni di graduale crescita, con fisiologica alternanza di alti e bassi, vuole coronare il suo operato con lo scudetto. Scudetto che significherebbe seconda stella, seconda stella che significherebbe scrivere un pezzo di storia rilevante per il club. Obiettivo oramai dichiarato di una società che, nonostante le ristrettezze finanziarie accumulatesi nel tempo, è riuscita a crearsi i presupposti per competere ai vertici del campionato.

La struttura dell’organico è stata ulteriormente ritoccata, potenziata, rinfrescata nelle soluzioni, ma soprattutto stabilizzata dalle conferme dei suoi principali punti di riferimento: i gol di Lautaro Martinez, i polmoni di Barella, la regia pulita di Calhanoglu, il lavoro instancabile di Mkhitaryan, l’esperienza di Acerbi e Darmian, il senso di appartenenza di Bastoni e Di Marco. Una combinazione di tasti e di certezze che formano l’ossatura del tessuto Inter. Edulcorato, come detto, dai volti nuovi: la prorompenza di Thuram, l’energia di Carlos Augusto e Frattesi, la solidità di Pavard e la lucidità di Sommer tra i pali. Leggasi esperienza, prontezza, ma anche margine, completezza.

Con le sue imperfezioni, ovviamente: esempio lampante, la mancanza di vere alternative alla Thu-La in attacco. Perché Arnautovic e Sanchez, costosi e avanzati ripieghi i cui arrivi sono stati accelerati dal voltagabbana estivo di Lukaku, non riescono a garantire piene certezze, e quando chiamati in causa faticano a ingranare, ad incidere. In due fanno 4 gol: Thuram e Lautaro ne hanno, rispettivamente, 10 (con 11 assist) e 22.

Differenza abissale, colmata dalla forza del gruppo e dalle sue trame avvolgenti. Un gruppo che, oggi, c’è, propone bel calcio e risponde presente. Emblematiche le vittorie con Fiorentina ed Hellas, al netto di braccia larghe e contatti sospetti, perché hanno messo in evidenza lo spirito di questa squadra, che può soffrire ma che non molla, resiste e attacca. Compito di Inzaghi, adesso, è quello di dare la mazzata al campionato, cosa che non gli è riuscita nel suo primo anno di regno che ne ha ridimensionato già in partenza, nel secondo, le ambizioni tricolore. Quest’anno, però, si respira una consapevolezza diversa, da un punto di vista fisico e soprattutto mentale. Il materiale, tecnico e umano, è di prima classe e il rapporto carnale con la tifoseria invoglia ad osare. In più, la Supercoppa Italiana, ennesima conquista degli ultimi anni, rinvigorisce e allo stesso tempo allegerisce l’animo.

Lecce, D’Aversa: ”Vittoria della nostra politica societaria”

La Juve operaia

Subito dietro, però, c’è una Juventus affamata. È scattato qualcosa nell’orgoglio di questa squadra, che nelle pieghe della sua anima vincente culla un forte desiderio di rivalsa. Tornare a primeggiare, dopo tre anni di digiuno, è l’obiettivo; riscattare la passata stagione, contrassegnata da problemi interni e penalizzazioni che entravano da una parte e dall’altra, è un dovere. La società, riassettata in estate dalla nomina di Giuntoli a direttore sportivo, ha tracciato una linea di continuità per provare a risalire la china. Ha mantenuto pressoché invariata l’impalcatura della rosa e, soprattutto, ha confermato al timone Massimiliano Allegri.

Max, nonostante le critiche e i dubbi sul suo operato, è riuscito a riconquistare il mondo Juve con la virtù della pazienza. Ha fatto valere il suo lato puramente gestionale, da stratega e psicologo nei momenti più duri. E, su questi momenti duri, ha costruito un’identità di gruppo definita, regolare, forte e riconoscibile.

Ha ripreso in mano il gruppo e l’ha reso Squadra. Possiamo dirlo, sì: questa Juventus è Squadra. Compatta, unita, dura a morire. Ecco, dura a morire. Non entusiasma e non ci tiene nemmeno a farlo, ma ha un cuore grande e un’anima che risponde al grido eterno del “Fino alla fine”. Tre vittorie, quest’anno, sono arrivate con gol oltre al 90esimo, numero che definisce la forza dei bianconeri.

Una forza…operaia. Non ci sono primedonne, figurine né tantomeno personalità di spicco, in controtendenza con quanto provato a costruire lo scorso anno (da ricordare le firme di Di Maria, Pogba e Paredes su tutti). Ma, al contrario, ci sono giocatori che su testa, cuore e gambe si sono ritagliati pian piano uno spazio crescente. Gli esempi più lampanti, Cambiaso, Gatti e Mckennie, quest’ultimo sempre ai margini e adesso protagonista a suon di sgasate e traversoni.

Poi, ci sono i giovani sfornati dalla Next Gen, in seguito selezionati con cura e poi inseriti con calma nel pianeta dei grandi: basti pensare a Iling-Junior, Miretti e, soprattutto, Yildiz, insediatosi di prepotenza e con bellezza negli schemi Allegri. Ma l’elemento più importante del tessuto bianconero presenzia nelle sue certezze: Szczesny, Danilo, Bremer, Rabiot, Milik. E nelle sue stelle più luminose: Chiesa e Vlahovic. Che, se messi in condizione di intendersi, si intendono e anche bene. Le sorti della Juve, in un modo o nell’altro, dipendono dal loro rendimento. Il serbo, inoltre, è in forma smagliante: 6 gol nelle ultime 4, tanta grinta e voglia di dimostrare. Contro l’Inter, domenica, ha l’occasione di guadagnarsi definitivamente lo status di ”leader” bianconero. Perché no, al pari di Lautaro per l’Inter.

Di dieci o di cento, poco conta. L’importante è spingere sull’acceleratore e mettere il musetto davanti. A predominare nei boxscore di una partita della Juventus è ancora la cultura dell’1-0, riproposto sei volte in stagione ed emblema della solidità (13 gol subiti) e dell’efficacia (36 gol fatti, 14 in meno dell’Inter) raggiunta dalla squadra di Allegri. Che, con il calendario snellito dall’assenza di coppe europee, può gestire al meglio le energie e riporre tutti gli sforzi sul campionato. E questa Juve, finora, ci ha voluto dire con chiarezza che difficilmente fa sconti.

 

LEGGI ANCHE: Tottenham, preso Bergvall

 

Volete rimanere aggiornati sul mondo del calcio?

Se volete restare aggiornati su tutto il mondo del calcio, rimanete sintonizzati sul nostro sito e sulla nostra pagina Instagram @direttacalciomercato!

Fonte foto: X LEGA SERIE A

Leggi anche