Il Manchester United non se la passa bene. Affatto. In Premier League occupa un misero ottavo posto, e come se non bastasse nell’ultima partita di campionato ha straperso, ancora una volta, il derby contro i cugini del City. Una sconfitta che è solo la punta dell’iceberg di una stagione iniziata nel peggiore dei modi. Non c’è un’idea precisa di quello che si vuole fare, di quello che si vuole essere. E tra problemi puramente di campo, spiccano altre situazioni spinose che riguardano situazione societaria, incerta, ed equilibrio dello spogliatoio, precario.
Manchester United, non è Ten Hag il problema
Fattori che influenzano un percorso di crescita apparentemente mai iniziato, ma in realtà fermo all’exploit dello scorso anno. Il primo sulla panchina dei Red Devils di Erik Ten Hag, l’allenatore chiamato a risollevare le sorti di un club da troppo tempo a secco di stabilità. Serviva una figura forte, con un’idea e dei principi. E l’olandese, dopo un periodo di assestamento, ha fatto fin da subito valere la sua legge. Gli episodi più eclatanti, la deresponsabilizzazione di Maguire e, soprattutto, l’epurazione di Cristiano Ronaldo, figura troppo ingombrante che intralciava la costruzione di un’identità collettiva.
Obiettivo, questo, raggiunto con tempo, applicazione e disciplina. Non si può non dire che lo United della passata stagione, con tutti i suoi limiti di singoli e organico, non abbia convinto, tanto è vero che ha messo in bacheca una Coppa di Lega ed è tornato a competere con le prime quattro della classifica. Dando, finalmente, una sensazione di credibilità incoraggiante per tutto l’ambiente.
Ecco che, in estate, si è cercato di seguire la strada della continuità. Nel segno, sempre, di Ten Hag, che ha guidato il mercato estivo con la volontà di allestire una rosa competitiva e completa. Ci si aspettava un approccio diverso, per evitare la pericolosa tendenza all’investimento facile e talvolta scriteriato degli anni precedenti. Invece, sono arrivati Onana, pagato 55 milioni, Hojlund, investimento da 90 milioni, e Mount, per 64 milioni. Senza dimenticare Amrabat, Reguilon e Johnny Evans, firmati per puntellare le rotazioni.
Il pallone d’oro a Messi, un premio alla carriera più che al merito?
Dunque, tanti soldi spesi, ma fino adesso senza un responso positivo dal campo. I nuovi non si sono ancora imposti, chi c’era prima non performa a dovere, e come se non bastasse permangono spinose situazioni extra-campo: su tutti, il caso Anthony, accusato di violenza domestica, e il siluramento di Jadon Sancho. Piccola parentesi: loro due, insieme, sono costati quasi 185 milioni. Casi emblematici, per rapporto rendimento-prezzo, che denotano evidenti buchi nella programmazione e scriteriate scelte progettuali.
Che non riguardano il solo Ten Hag, anche lui con le sue colpe, non c’è dubbio, da gestione della rosa a consistenza tattica della squadra, ma che vanno ricondotte a decisioni passate che si ripercuotono, inevitabilmente, sull’oggi. L’allenatore sta provando a cambiare le cose. Ma sembra sempre più solo, così come tutti gli allenatori che sono passati prima di lui e che non sono riusciti ad imporsi. Non è un caso. E intanto si attende un passaggio di proprietà che potrebbe porre le basi di un nuovo ciclo. Questa volta per davvero.
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Fonte foto: X United