Quando parli di calcio in Francia, automaticamente pensi al Paris Saint-Germain. Inutile negarlo: la portata economica del fondo sovrano Qatar Investment Authority è riuscita a creare un fenomeno globale capace di dominare senza limiti, perlomeno entro i confini nazionali. Portando nella capitale francese grandi campioni e attirando, di conseguenza, grandi sponsor, attenzione mediatica, partnership di lusso. Insomma, il PSG è diventato, con tutti i suoi difetti (dentro e fuori dal campo), una potenza mondiale in un calcio piegatosi progressivamente al profumo del soldo.
Ma c’è ancora quel tocco romantico che ha reso questo sport così autentico, così seguito e così, semplicemente, bello? Ci sono ancora storie che valgono la pena di essere raccontate per la loro unicità? Sì. E dobbiamo rimanere qui, a Parigi. Nella periferia della città dell’amore, nel sobborgo di Saint-Ouen, tra il celebre mercato delle pulci e lo stadio Bauer. Quest’ultimo, la casa e il cuore pulsante del Red Star FC, un club iconico con un vissuto alle spalle e un futuro che aspetta solo di essere scritto. Con la penna, e il potere, dell’innovazione.
RED STAR FC, TRA RIMET E DELLA NEGRA
I suoi 125 anni iniziano in un caffè della capitale francese. E portano la firma di un giovane luminare del pallone: Jules Rimet. Colui che, qualche anno dopo, inciderà il suo nome anche sulla prima Coppa del Mondo per nazioni. Siamo nella banlieue nord di Parigi, distretto 93, storicamente un contesto difficile, bistrattato: il club si assesterà qui a partire dal 1909, dopo lo sfratto dalla zona Grenelle. Lì dove sarà costruita pista ciclabile Velo d’Hiv, purtroppo divenuta famosa per aver ‘’accolto’’ il più grande rastrellamento di ebrei avvenuto nella capitale, nel 1944.
Un nome lega il club con una delle pagine più macabre dell’umanità, nel tragico scenario della guerra: Rino Della Negra. Figlio di emigrati veneziani e giovane talento proprio della Stella Rossa, che lasciò, nel 1943, per lottare contro la minaccia nazista. Farà parte dei franchi tiratori partigiani, schierandosi contro l’invasore. Con forza, ma, ovviamente, non abbastanza per contrastare i fucili tedeschi. Che lo giustiziarono, ma che non gli impedirono, prima di morire, di scrivere una lettera d’addio. Scrisse le seguenti parole: ‘’invia un saluto e l’addio al Red Star’’.
Questo è solo uno dei tanti episodi che il Red Star ha dovuto fronteggiare, fin dalla sua fondazione. Ha attraversato la storia, le spaccature sociali, la guerra e la resistenza. E l’obiettivo di Rimet, dopo la fondazione, era proprio quello di incunearsi nel disagio del popolo, per unirlo in un unico abbraccio. In un’unica anima. In una stella rossa posizionata con orgoglio su una maglietta verde. Quale veicolo più efficiente dello sport, e, nella fattispecie, del calcio? Per azzerare le differenze, favorendo l’integrazione; per divertirsi, trovando la propria vocazione. La propria strada. È l’identità del club, di ieri e di oggi, nonché un impegno sociale, culturale. È ‘’plus que du ballon rond’’, come scritto sul sito ufficiale del club.
AL SERVIZIO DEL POPOLO, DA SEMPRE
Con uno scopo: formare uomini e donne forti, prima che calciatori e calciatrici dotate. Spicca, su tutte le attività promosse dal club, il Red Star Lab, un centro creativo per i ragazzi del settore giovanile che offre numerose attività extra-campo: lezioni di inglese, di arte, di canto, di teatro, ma anche podcast, moda, scultura. Insomma, un modo per svagarsi, per sviluppare doti e stimolare l’immaginazione, e per scappare dalla dura realtà della banlieue, negli anni colpita da una disoccupazione crescente. Creando, dunque, una consapevolezza, una prima esperienza di vita vera, pratica. Poi, arriva il calcio. Ma prima, si deve imparare a vivere e convivere. Si deve imparare ad essere una comunità.
C’è dell’altro. Dalle magliette glamour e da quest’anno create con l’intelligenza artificiale, fino a strategie di marketing e di comunicazione via vai più definite, passando per le collaborazioni con LinkedOut e Randstad Face volte a ripristinare le diseguaglianze. Infine, la collaborazione con Trust’it, società di servizi digitali, che ha come obiettivo quello di supportare gli imprenditori della 93 offrendo loro appoggio, visibilità e finanziamenti volti a rafforzare il legame con il territorio, che è sempre stato l’obiettivo del club. Restare, dunque, a stretto contatto con la propria gente.
Ecco spiegato anche l’attaccamento all’iconico Stade Bauer, che prende il nome dal medico Jean-Claude Bauer, arrestato e fucilato dai nazisti per aver provato a resistere. Uno stadio che accoglie tutti con i suoi 10 mila posti il calore e la voglia di speranza dei tifosi del Red Star dal 1909. Uno stadio accessibile per tutti, nessuno escluso. Una seconda casa, un luogo in cui esprimersi. In cui sfogarsi. In cui sventolare al cielo, con orgoglio e appartenenza, la propria fede. La propria identità. Lo Stade Bauer è un amico inseparabile. E infatti, quando la squadra dovette lasciarlo per Beauvais perché non a norma e oramai decaduto, i tifosi insorsero: non ce ne andiamo. Era il 2016, il Red Star retrocesse in terza divisione e tornò a disputare le sue gare casalinghe dove tutto è iniziato.
OBIETTIVO: SOGNARE
Dal 1897, fino ai giorni nostri. Nel mezzo, un continuo saliscendi tra le varie leghe, passando anche per la sesta e la settima divisione, con 5 coppe di Francia e 2 campionati di seconda divisione tra il 1920 e il 1942. Piccola curiosità: dal ’40 al ’42 ci giocò anche un certo Helenio Herrera. Poi la guerra, la crisi e gli scarsi risultati. Poi, l’ultima volta in Ligue 1, datata 1975. Una storia di passione, sacrificio e riscatto, che affascina e arriva. Oggi, l’ambizioso Red Star dei 777 partners è in terza divisione, nel Championnat National, ed è partito alla grande con otto vittorie nelle prime nove giornate. L’obiettivo è sempre quello: regalare al popolo un sogno da scartare. Perché sì, in fondo vale più questo del resto.
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