L’addio di Tiago Pinto apre nuovi scenari di rivoluzione a Trigoria. Ancora una volta. La sponda giallorossa della Capitale galleggia in equilibri instabili. Quasi senza una meta, costantemente alla ricerca di certezze. Di una strada da percorrere, di un percorso con cui imparare a crescere per davvero. L’impressione, però, è che la Roma sia sempre al punto di partenza. Ferma all’anno zero da tanto, troppo tempo. E da tanto, troppo tempo, è difficile capirne la visione, le intenzioni. Impresa ardua. Ancor più ardua se alla debolezza del progetto tecnico si affianca una situazione finanziaria irresoluta, i paletti del Fair Play finanziario, perdite e debiti pregressi. Fattore, questo, che ha condizionato pesantemente le ultime sessioni di mercato guidate proprio dall’oramai ex DS Tiago Pinto. Costretto più volte ad operare al risparmio e a fare i salti mortali per piazzare gli esuberi. Costretto ad una situazione che condiziona le politiche dei Friedkin e pone in discussione qualsivoglia idea di lungo termine in casa Roma.
Roma, quale futuro adesso?
Un altro ribaltone all’orizzonte, dopo tre anni costellati da colpi di risonanza mediatica potentissima (Lukaku e Dybala), ma anche da flop catastrofici (facile pensare a Renato Sanches, Shomurodov e Reynolds su tutti). Nel bel mezzo, la vittoria tutta portoghese della Conference League, in coppia con il tecnico Josè Mourinho, ma anche forti delusioni, batoste, tensioni e logorii che il tempo non ha fatto altro che accentuare. Fino ad un punto di non ritorno, che a sua volta intensifica i dubbi sul futuro della Roma.
Partendo dallo stesso Mourinho, in scadenza, il cui ciclo sembra essersi già da tempo avviato verso una conclusione irreversibile. Per poi arrivare all’organico. Un cantiere aperto, mal strutturato, mal assortito e pieno di lacune, costruito per l’immediato ma con azzardo, vendendo tanti giovani, senza considerare logiche di lunga durata. La Roma ha la terza squadra più vecchia della Serie A (27,7 anni di media), ma oltre a questo ha molte questioni irrisolte tra infortuni, scarsa profondità della rosa, inconsistenza tattica e prestiti in scadenza (su tutti Lukaku, Llorente e Kristensen), oltre alla paurosa clausola di Dybala (13 milioni). Fattori che, se combinati insieme, non permettono nemmeno di pensare ad un progetto sostenibile, solido. Ad un progetto che possa quantomeno riportare la città a riassaporare le note della Champions League, cosa che non si fa da oramai sei anni. Sei anni di gestioni al limite che partono da Pallotta e Monchi, contrassegnate da continui ribaltoni, e che, direttamente o indirettamente, hanno influito anche sull’operato dei loro successori. Ingabbiando la Roma in una spiacevole sensazione di mediocrità, lontana dai vertici e costantemente fluttuante in posizioni di seconda fascia. Mai da protagonista, nè da antagonista. Al massimo, da breve comparsa.
Ed è anche difficile ipotizzare un domani sicuro per la Roma. Chi è disposto a lavorare in un ambiente così incerto? Chi è disposto a ripartire dalle fondamenta per provare a cambiare le politiche del club, dentro e fuori dal campo?
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Fonte foto: Imago